7 ottobre, un anno dopo. Le foto della guerra “dentro” Israele

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Aeroporto Ben Gurion, 7 ottobre. Lo scalo deserto dopo la cancellazione di centinaia di voli

Quel drammatico 7 ottobre sono arrivato a Tel Aviv in piena notte, con l’unico volo da Roma non cancellato. Un aereo carico di angoscia, di riservisti richiamati di corsa e di passeggeri in ansia per le loro famiglie. Mi è tornato in mente il viaggio di oltre venti anni prima, per arrivare via Canada a New York dopo l’attacco alle Torri Gemelle. E ho subito pensato che questo era l’11 settembre di Israele.

I primi giorni nello Stato Ebraico regnavano shock e paura. A Sud era pericoloso muoversi perché i terroristi erano ancora nascosti tra i kibbutz. Quasi a ogni ora da Gaza venivano lanciati razzi e nelle città le sirene di allarme suonavano in continuazione. Anche noi giornalisti e operatori eravamo costretti a correre dentro i rifugi o a fermare la macchina in mezzo alla strada per stenderci a terra.

Negozi e ristoranti erano chiusi e si faceva fatica a trovare da mangiare. Turisti e pellegrini restavano barricati negli alberghi in attesa di trovare il modo di lasciare il paese. Nelle strade vuote le poche persone giravano armate. Il giorno di Natale a Gerusalemme la Città Vecchia e la Basilica del Santo Sepolcro erano deserte.

Ricordo a Re’im, nel silenzio tra gli alberi, gli sguardi innocenti dei ragazzi uccisi o rapiti al Festival Supernova nelle foto lasciate dai loro cari. Per terra ancora i bossoli dei proiettili dei loro carnefici.

E il dramma degli ostaggi e delle loro famiglie, che hanno marciato da Tel Aviv a Gerusalemme per far sentire la loro voce. Ho visto l’angoscia negli occhi dei parenti che ho intervistato. Per alcuni di loro c’è stata la gioia di riabbracciare i loro cari liberati. Altri hanno ricevuto la peggiore delle notizie. Altri sono ancora oggi in estenuante attesa.

Nel corso dell’anno sono tornato diverse volte in Israele e ho visto piano piano la gente tornare ad una normalità anomala, sempre schiacciata dall’incertezza del futuro o dall’attesa di un imminente attacco. Nonostante l’abitudine a decenni di guerra gli israeliani faticano ancora a superare il trauma di un anno fa. Sono emerse nuove divisioni, altre sono state ricucite.

C’è il nuovo fronte Nord e la preoccupazione che non sia finita. C’è il peso del lutto per i tanti soldati, tra i quali giovani riservisti, caduti in combattimento e l’enorme numero di vittime palestinesi. Morti che scavano ulteriori fossati e alimentano l’odio, allontanando il giorno di una possibile convivenza in una terra da decenni senza pace.

E’ iniziata l’era dei robot killer?

 

Iran, il luogo dell’attacco

A fine novembre 2020 in Iran Mohsen Fakhrizadeh, uno dei più importanti scienziati nucleari iraniani è stato colpito da una scarica letale di proiettili mentre si spostava in auto. Anche se nessuno lo confermerà mai, l’uomo sarebbe stato ucciso in un’operazione di intelligence israeliana, in cui sarebbe stata utilizzata un’arma mai vista prima: una mitragliatrice attivata da remoto a più di 1.600 chilometri di distanza, e comandata con l’aiuto dell’intelligenza artificiale per regolare la precisione degli spari tenendo conto di ritardo delle immagini, delle vibrazioni prodotte dal contraccolpo e della velocità dell’auto dello scienziato. Subito dopo l’attacco l’arma, nascosta in un furgoncino parcheggiato, si sarebbe autodistrutta con un’esplosione.

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I robot che uccidono dal cielo

Voi non vi accorgete di nulla, ma lì in alto nel cielo gli occhi di un robot seguono ogni vostra mossa. Ci sono persone che in ogni istante sanno di poter essere uccise. Basta che qualcuno che si trova dall’altra parte del pianeta dia l’ordine: “eliminare”. In pochi istanti dal cielo piombano razzi che distruggono ogni cosa attorno al bersaglio. Ormai accade tutti i giorni: i droni americani dal 2004 sorvegliano gran parte del mondo e in Afghanistan, Pakistan, Yemen e Somalia eliminano i loro obiettivi. In molti adesso si chiedono se tutto questo sia lecito. Continua a leggere