Che cosa sia davvero accaduto lunedi’ 15 giugno a 4 mila metri di altitudine nelle regioni himalaiane del Laddak contese tra India e Cina non e’ ancora del tutto chiaro. Nuova Dehli ha denunciato con non poco imbarazzo la morte di venti soldati, tra i quali un colonnello, mentre Pechino non ha rivelato il numero delle sue vittime. Secondo alcuni non sarebbe stato sparato nemmeno un colpo ma lo scontro, il più grave da decenni, sarebbe avvenuto con pietre e mazze chiodate.
Torna ad infiammarsi cosi’ un’area irrequieta teatro di una breve guerra nel 1962 mentre i due giganti asiatici, entrambi dotati di armi nucleari, ripetono di voler evitare ogni escalation.
Non e’ pero’ il solo fronte caldo nell’area. Un anno e mezzo fa sono ripresi i violenti combattimenti al confine tra India e Pakistan e la politica nazionalistica del premier indiano Narendra Modi ha portato ad agosto a cancellare l’autonomia della regione contesa del Kashmir facendo infuriare Islamabad. Si moltiplicano poi gli incidenti nel Mar Cinese Meridionale tra navi vietnamite e giapponesi e le unita’ militari di Pechino che sta costruendo isole artificiali per allargare la sua area di interesse sulle zone di pesca e le risorse energetiche sottomarine. Per non parlare delle nuove tensioni tra Cina, Hong Kong e Taiwan.
Nelle ultime ore poi è tornato incandescente anche il 38esimo parallelo che separa le due Coree, con quella del Nord che ha fatto saltare in aria il palazzo del dialogo sul confine. Vecchi conflitti mai sopiti che si riaccendono in un’ Asia in ebollizione e profondamente cambiata. La Cina, ormai superpotenza economica, mira a garantirsi i corridoi per la nuova via della seta (a cominciare da quello con il Pakistan e lo sbocco nel mare arabico che passa proprio nelle aree tibetane) e ambisce ad un ruolo di potenza militare. I suoi vicini e gli Stati Uniti, che stanno rinsaldando le loro alleanze a partire proprio dall’India, vogliono contenerne le aspirazioni.