Dal 2014 nell’Ucraina orientale, nel cuore dell’Europa, è in corso una guerra di cui si parla molto poco. Fabio Polese giornalista e fotografo freelance nato nel 1984 a Perugia ha realizzato reportage in diverse zone calde del mondo, Irlanda del Nord, Birmania, Thailandia, Cambogia e Vietnam, Bangladesh, Kosovo, Libano. Da poco è tornato dall’Ucraina dove ha documentato un conflitto che continua nel quasi totale silenzio.
Quale è la situazione che hai trovato in Ucraina? Si combatte ancora?
In Donbass, nonostante se ne parli molto poco e nonostante gli accordi di Minsk dovrebbero garantire una tregua, la guerra continua a fare morti e feriti. Sono stato con i miliziani filorussi nelle prime linee del fronte a Kominternovo e Zaitsevo, dove gli scontri e i bombardamenti sono all’ordine del giorno, documentando sia la situazione militare, sia quella in cui sono costretti a vivere i civili. Ho raccolto tante storie di sofferenza, ma anche di coraggio, orgoglio e di speranza per un futuro migliore.
Si è fermi in stallo o ci sono avanzate e cambiamenti lungo la linea del fronte?
In questo momento la situazione è abbastanza statica. Le truppe di Kiev provano ad avanzare, ma i miliziani dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk stanno mantenendo le loro posizioni.
Hai visto militari o mezzi russi?
Nelle zone dove sono stato io non ne ho visti. Molti degli uomini che combattono sono locali, altri arrivano volontari dalla Russia, come da altre parti del mondo.
In quelle zone dove si combatte ormai da tre anni sono rimasti i civili? E in che condizioni vivono?
Nei villaggi lungo la linea del fronte ancora vivono civili. Soprattutto anziani, impossibilitati a scappare. Le condizioni di vita sono, come in qualunque zona di guerra, terribili. I più fortunati, quando fa buio e gli attacchi sono più frequenti, si rifugiano negli scantinati. Chi invece non ha dove nascondersi, rimane nelle proprie abitazioni, alcune già colpite in precedenza, pregando che non vengano centrate per l’ennesima volta. Molti non hanno né luce né gas e i rifornimenti di cibo e acqua sono spesso difficoltosi.
Perché secondo te si parla così poco di questa guerra? E come se ne può uscire?
Se ne parla poco perchè è una guerra scomoda. Da una parte c’è una popolazione che strizza l’occhio all’Occidente, dall’altra, invece, una popolazione che ha oggettivamente radici russe e che è legata storicamente e culturalmente con Mosca. Purtroppo credo che finché non si troverà una soluzione politica sarà difficile fermare le violenze.
Come ti sei mosso? Dove hai alloggiato e come sei stato trattato dalle autorità?
Trovati i contatti, ho seguito le procedure richieste dalle autorità locali, ricevendo i permessi per andare in prima linea. Ho alloggiato sia con i militari, nelle loro postazioni, sia con i civili, condividendo cibo, pallottole e bombardamenti. Pochi giorni fa ho avuto la triste notizia della morte di una delle figlie della famiglia che mi aveva ospitato a Kominternovo. Una scheggia di mortaio l’ha colpita alla testa e non c’è stato nulla da fare.
E’ sempre più difficile svolgere il lavoro di reporter in quelle zone, basti ricordare la morte del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli. Quali sono state le maggiori difficoltà e quali rischi hai corso?
I pericoli dove c’è un conflitto sono inevitabili. Ogni reporter che ha esperienze sul campo, come Andrea, li conosce e si prepara al meglio prima della partenza per minimizzare al massimo i rischi. Purtroppo a volte non basta, ma sai anche che nel bene e nel male è quello che hai scelto di fare nella tua vita: cercare di raccontare ciò che sta accadendo nel Mondo.
Tornerai a documentare quello che succede in Ucraina o hai già altri progetti?
In Donbass tornerò sicuramente per continuare a documentare questo conflitto dimenticato. Per ora, invece, sono in partenza per Marawi, la cittadina nell’isola di Minadano, Filippine del sud, occupata dai miliziani dello Stato Islamico il 23 maggio. Conosco bene la zona, ci sono stato anche lo scorso anno, proprio per raccontare la pericolosa avanzata del fondamentalismo nell’unico Paese a maggioranza cristiana nel sud-est asiatico.
per leggere i reportages di fabio Polese: http://www.fabiopolese.it/