La Turchia, Erdogan, il terrorismo e il rischio dittatura

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Diversi attentati negli ultimi mesi, poi la strage di Capodanno ad Istanbul. La Turchia è sotto attacco. Ne parliamo con Marta Ottaviani, per anni corrispondente da Istanbul e autrice del libro “Il Reis. Come Erdoğan ha cambiato la Turchia” (Textus Edizioni) che ripercorrendo la storia del Paese fino ai giorni nostri si incentra sulla controversa figura del presidente Recep Erdogan.

Il terrorismo islamico sta colpendo duramente la Turchia. Eppure molti avevano puntato il dito contro le ambiguità di Erdogan nei confronti dello stato Islamico, che in qualche modo avrebbe almeno inizialmente tollerato per favorire la caduta del presidente siriano Assad. Che cosa si è rotto successivamente? Perché la Turchia è nel mirino?

Diciamo che dalla caduta della città di Mosul, su cui Ankara ha cercato di creare una zona di influenza, gli interessi di Turchia e Stato Islamico hanno iniziato a collidere. La successiva alleanza con Putin ha messo Erdogan e il Califfo su piani contrapposti, con tutte le conseguenze del caso. La prima, e la più grave, è che i gruppi jihadisti che per due anni hanno trovato nella Turchia un terreno fertile su cui proliferare, gli si sono rivoltati contro.

Dopo 15 anni al governo l’ex sindaco di Istanbul sembra avere tutto il potere nelle sue mani. E’ lui il nuovo sultano?

Ormai la deriva autoritaria sta prendendo accenti dittatoriali. Erdogan è arrivato a gestire direttamente o per mezzo di fedelissimi tutti i poteri forti dello Stato, dalla politica alla magistratura, dall’esercito ai servizi segreti. Una concentrazione che gli permette di controllare tutto e che limita le possibilità di opposizione a vario livello.

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Il progetto di riforma costituzionale che propone Erdogan toglie quasi ogni ruolo a parlamento e agli altri contrappesi costituzionali. Si va verso una dittatura?

Se la riforma costituzionale verrà approvata si arriverà di fatto a un sistema presidenziale sul modello di quello francese. Il problema è però anche quello che si sta facendo alla vita politica nel Paese. Lo stato di emergenza, in vigore dallo scorso 20 luglio ha fatto finire in carcere nove deputati del partito curdo. I media che non sono stati chiusi perché accusati di avere legami con Fethullah Gulen se ne guardano bene dal tenere una linea che non sia filogovernativa. Nelle università sono stati piazzati rettori graditi al presidente della Repubblica. Trovare spiragli per un’opposizione che costruisca un’alternativa è difficile.

La riforma presidenzialista dovrà probabilmente essere approvata con un referendum dai turchi. Nonostante il forte consenso per Erdogan ci sono possibilità che gli elettori la boccino?

I sondaggi in realtà sono molto incerti e in questo momento sembrerebbe addirittura prevalere il ‘no’ seppure per pochissimo. Va detto che il popolo turco è storicamente contrario al sistema presidenziale e al momento non sembra disposto a fare un’eccezione per Erdogan. Che però, dall’altra parte, su questa consultazione ha puntato tutto e difficilmente si farà scappare un traguardo a cui brama da tempo. Le elezioni dopo il 2015 non vengono più giudicate regolari al 100%, quindi vi è da scommettere che in caso di non mancheranno dubbi sulla loro trasparenza.

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Libertà di stampa limitata, indipendenza della magistratura a rischio, epurazioni nel mondo accademico e culturale. Che cosa rimane dell’opposizione dopo il tentato golpe del luglio 2016?

C’è un opposizione politica e di questa rimane veramente ben poco. Il Partito curdo, che poteva affrontare Erdogan non in termini di voti, ma facendogli perdere popolarità, è vicino all’azzeramento. I repubblicani del Chp, principale voce dell’opposizione, sono sfaldati e non riescono a costruire un’alternativa politica reale. C’è poi l’opposizione della piazza, per intenderci quella di Gezi Parki, che non ha una netta traduzione politica e che adesso è anche silenziata per via dello Stato di Emergenza e della repressione in atto nel Paese dal 2013.

I militari hanno ancora un ruolo di peso nella politica turca oppure dopo il repulisti sono fedelmente al fianco di Erdogan?

I militari sono considerati a torto un monolite. Come tutte le istituzioni invece sono caratterizzati da correnti, con l’una che prende il sopravvento sull’altra a seconda dei periodi storici. In questo momento c’è una componente ultranazionalista, con cui Erdogan ha stretto un patto dopo il golpe, dopo averla combattuta per anni. Alcuni di questi generali occupano posti importanti nell’esercito e come tutte le alleanze di Erdogan non sono affidabili.

Davvero dietro il golpe di luglio ci sono gli intrighi di Fetullah Gullen come sostiene Erdogan o la storia è un po’ diversa?

Il golpe sicuramente c’è stato ed è un fatto che Gulen abbia iniziato a infiltrare le Forze Armate già dagli anni 90. Va però detto che, come altre ‘cacce alle streghe’ che lo hanno preceduto, anche il repulisti del gulenismo come minaccia per la democrazia del Paese sta coinvolgendo persone che con Gulen non hanno mai avuto nulla a che vedere. Non solo. Si deve anche ricordare che fino almeno dal 2011 Erdogan e Gulen erano alleati contro gli apparati più laici dello Stato, loro comuni nemici.

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L’ingresso della Turchia nell’Unione europea pare sempre più difficile. E’ una volontà di Erdogan oppure la conseguenza di scelte sbagliate che ha fatto? L’accordo con Bruxelles sui profughi è una potente arma di ricatto nelle mani di Ankara?

Diciamo che è mancata la volontà da entrambe le parti. Si è persa un’occasione storica unica e irripetibile, ma ormai recuperare è impossibile anche le trasformazioni alle quali è stata sottoposta la società. Posto che secondo me l’accordo sui profughi non andava firmato, diventa un’arma di ricatto nel momento in cui La Ue non realizza che il rapporto con la Turchia è importante. Ossia: la Turchia è importante per l’Europa, certo, ma noi siamo importanti per la Turchia.

Perché la Turchia ha messo da parte le storiche ostilità con la Russia e ha cercato negli ultimi mesi di stringere una forte alleanza con Putin?

Sostanzialmente perché è rimasta isolata. Erdogan ha adottato una politica estera molto, troppo ambigua. Si è messo di traverso all’amministrazione Obama, ha tessuto rapporti poco chiari con lo Stato Islamico. La Turchia da anni era divenuta sempre più autonoma e ingestibile, interveniva a gamba tesa in tutti i principali tavoli della regione. E’ chiaro che con il passare del tempo da alleato strategico è diventato un ex alleato scomodo. Dopo che tutti, in occasione del golpe, hanno aspettato all’ultimo per manifestare la loro solidarietà, a Erdogan non è rimasto altro che riavvicinarsi al Cremlino. Un’alleanza che, al momento, conviene a entrambi.

La società civile erede delle politiche laiciste di Ataturk ha ancora spazio o la Turchia si sta islamizzando?

E’ una domanda non facile questa. Diciamo che nella società turca da sempre convivono più anime. Alcune più in evidenza di altre a seconda del periodo storico. Durante gli anni in cui l’Islam politico era un sorvegliato speciale da parte delle fazioni più laiche di militari e magistratura, la società più radicalizzata era più defilata, ma c’era. Dal 2002 ha assunto sempre maggiore peso, per poi arrivare allo sdoganamento finale dopo il golpe dello scorso luglio. Di contro, quella Turchia vuoi laica, vuoi liberale, vuoi conservatrice, ma non fanatica o eversiva, adesso ha deciso di tacere per paura, ma anche per convenienza o perché non vede un’alternativa a Erdogan.