L’ italiana in prima linea contro il virus ebola in Guinea

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L’epidemia di Ebola in Guinea (Africa occidentale) continua a causare decine di vittime e non sembra fermarsi. In prima linea a combattere il virus letale assieme al team di Medici Senza Frontiere c’è anche una ragazza italiana. Si chiama Gabriella Ferlazzo Natoli, 34 anni, siciliana. E’ medico infettivologo e lavora nei centri di isolamento dove vengono ricoverati gli ammalati del terribile male.

Come è la situazione in questo momento in Guinea?

La situazione attuale in Guinea è molto complessa. Nonostante gli enormi sforzi e gli interventi messi in atto fin dall’apparizione ed identificazione dei primi casi, l’epidemia è solo parzialmente sotto controllo e continua a causare nuove vittime in diverse zone del paese, particolarmente fra le popolazioni più povere e svantaggiate.

L’epidemia sembrava aver rallentato e invece pochi giorni fa ci sono stati nuovi casi. Perché?

Le cause sono diverse, riconducibili ad aspetti socio-culturali, logistici e alle caratteristiche proprie della malattia. Le popolazioni hanno paura e mostrano un’iniziale resistenza nei confronti delle misure di isolamento nei centri di trattamento. I riti funebri locali prevedono un contatto ravvicinato col corpo del defunto, rappresentando un fattore di rischio elevato per la propagazione dell’epidemia. Gli spostamenti di persone infette ma che non sanno di essere malate possono condurre all’ insorgenza di nuovi focolai, così come si è verificato nelle ultime settimane. Nelle fasi iniziali della malattia, inoltre, i segni e sintomi di infezione sono vaghi e comuni ad altre patologie altamente endemiche nella regione, come malaria o infezioni batteriche, complicando il sospetto diagnostico da parte del personale non specializzato dei centri di salute locali.

Come sta reagendo la popolazione?

A differenza di altre zone dell’Africa, questa è per la Guinea la prima epidemia di ebola che si abbatte sul paese. La popolazione locale ha molta paura e come dicevo, mostra una certa resistenza nei confronti degli interventi di controllo dell’epidemia. Grazie all’enorme lavoro di sensibilizzazione, in collaborazione con in Ministero della Salute della Guinea, le autorità locali e gli altri partner internazionali, siamo riusciti a far passare messaggi educativi e di prevenzione mirati al controllo dell’epidemia.

Che cosa si fa per curare i pazienti colpiti?

Non esiste purtroppo un trattamento specifico per l’ Ebola: l’intervento medico è essenzialmente un trattamento sintomatico e di supporto finalizzato alla reintroduzione di liquidi, persi in grandi quantità a causa di vomito e diarrea, alla gestione dello shock, al trattamento di patologie concomitanti come malaria ed infezioni batteriche, ed alla somministrazione di una terapia del dolore. Si cerca di mantenere in vita il paziente in attesa che il sistema immunitario possa attivarsi e sconfiggere l’infezione.

Qual è il tasso di mortalità e come si diffonde il virus?

L’attuale tasso di mortalità in Guinea si aggira intorno al 65%, con picchi intorno al 75% nella zona di Gueckedou, considerata l’epicentro dell’epidemia. Il virus si trasmette fra gli esseri umani attraverso contatto diretto con fluidi biologici infetti e attraverso contatto con le membrane mucose. I tempi di incubazione della malattia possono variare da 2 a 21 giorni, motivo per il quale le persone che sono state in contatto con casi probabili o confermati vengono seguite quotidianamente per tre settimane, al fine di identificare precocemente nuovi possibili casi.

C’è il rischio che l’epidemia si diffonda ad altri paesi?

Nuovi casi sono stati recentemente identificati in Sierra Leone, in una zona di confine col distretto di Gueckedou. La sfida più grande è tracciare i movimenti delle persone che potrebbero essere state contagiate, in modo da ridurre al minimo il rischio di diffusione.

Dove sta intervenendo Msf e con quanti medici?

MSF è presente con personale medico, paramedico, logistico ed amministrativo in tutte le zone colpite dall’epidemia in Guinea: Conakry, Gueckedou, Macenta , Telimele , così come per il nuovo focolaio in Sierra Leone. Più di 300 persone, fra personale espatriato e staff nazionale, lavora attualmente nelle località coinvolte dal contagio. La sezione italiana di MSF contribuisce in modo significativo alle risorse umane impegnate sul campo.

Qual è stato il tuo impatto personale con l’ epidemia?

E’ stata per me la prima esperienza professionale con le febbri emorragiche e, senza dubbio, sono state settimane impegnative sia da un punto di vista fisico che emotivo: le giornate (e nottate!) di lavoro sono lunghe e faticose. Le tute di protezione individuale, necessarie durante il contatto ravvicinato coi pazienti, provocano notevole disagio, limitano i movimenti e possono essere indossate solo per un tempo limitato a causa delle temperature. L’elevata mortalità e l’assenza di un trattamento specifico ed efficace contro la malattia è stato l’aspetto per me più frustrante da un punto di vista emotivo.

C’è un paziente o un episodio che più ti hanno colpito?

Uno degli episodi che mi ha maggiormente toccato si è verificato durante la mia prima settimana di attività nel centro di isolamento e trattamento di Guekedou: una bambina di 7 anni, che avevamo tentato di mantenere in vita attraverso tutti i mezzi a disposizione, è deceduta fra le braccia della madre, anch’essa colpita dall’Ebola, davanti ai miei occhi. La madre, che fortunatamente è in seguito riuscita a guarire, aveva già perduto altri membri della famiglia, fra cui un secondo figlio, a causa dell’epidemia. Assistere al suo dolore, insieme alla constatazione del decesso, è stato un momento particolarmente duro.

Per sostenere lo sforzo di medici senza frontiere: www.medicisenzafrontiere.it