Haiti: a 4 anni dall’apocalisse

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Sono trascorsi 4 anni da quel 12 gennaio del 2010 quando un sisma devastante rase al suolo Port Au Prince, la capitakle di Haiti, uccidendo oltre 200 mila abitanti e causando milioni di senza tetto. Andai lì in quei giorni, in una delle trasferte più terribili che io ricordi: cadaveri per le strade, quasi tutti gli edifici crollati, gente affamata, caos.
Fiammetta Cappellini, capo progetto dell’Avsi, è rimasta ad Haiti ad aiutare le popolazioni. Con lei facciamo il punto 4 anni dopo.

Fiammetta Cappellini dell’Avsi


Quale è la situazione oggi, a 4 anni dal sisma? Haiti già prima del terremoto era un Paese difficile, con uno sviluppo bloccato e debole. La tragedia del terremoto del 2010 ha colpito un Paese già in ginocchio. In questi 4 anni e’ stato fatto molto, e il Paese e’ uscito dalla situazione di emergenza in cui si trovava, ma i suoi problemi preesistenti non si sono risolti. Haiti resta un Paese fragile, con un indice di sviluppo basso e una povertà molto diffusa, esposto all’insicurezza alimentare e alle catastrofi naturali.
Le conseguenze del terremoto non sono ancora state del tutto assorbite. Nonostante questo, il quadro non e’ solo negativo. Ci sono dei segnali di timida ripresa, magari non nei valori economici, ma piuttosto nell’atteggiamento della gente. Abbiamo ogni giorno, nel nostro lavoro, testimonianze di persone che nonostante tutto guardano la vita in modo positivo, hanno voglia di ricominciare a vivere, e riescono a farlo, nonostante tutto, con una forza di volontà e una determinazione davvero incredibili.
Quali sono i problemi più gravi rimasti irrisolti nella ricostruzione? Ad oggi, dell’oltre milione e mezzo di senza casa del dopo terremoto, restano circa 250.000 persone che non hanno trovato una soluzione abitativa. questo e’ un problema gravissimo, la nostra prima vera urgenza. Molte infrastrutture non sono ancora state ricostruite: ospedali, servizi alla popolazione, sistemi di acqua potabile.
Gli aiuti arrivati da tutto il mondo sono serviti o sono finiti nelle mani dei soliti potenti locali? Gli aiuti internazionali arrivati da tutto il mondo sono stati utilissimi e fondamentali. Senza la mobilizzazione mondiale, Haiti oggi forse non esisterebbe più. Ci tengo a dirlo, perche molto spesso in questi anni la polemica sul cattivo utilizzo dei fondi ha prevalso sulla constatazione dell’irrinunciabilità degli aiuti umanitari in caso di catastrofi cosi gravi. Gli aiuti umanitari ad Haiti hanno impedito la catastrofe dopo la catastrofe e questo e’ stato importantissimo. Certo, va anche detto che la situazione post terremoto era difficilissima e presentava delle caratteristiche uniche: enormi campi profughi in contesto urbano (e non in mezzo al nulla), una città da ricostruire ma dove già prima le infrastrutture mancavano. Questi fattori hanno fatto si che gli aiuti non si potessero esprimere al meglio. Si poteva fare di più e si poteva fare meglio. Ma non siamo onnipotenti e non siamo infallibili. E la catastrofe di Haiti non aveva precedenti.
L’epidemia di colera che si è diffusa nei mesi successivi al terremoto fa ancora paura? Il colera ad Haiti continua ad uccidere. Questa epidemia, di cui troppo poco si parla, e’ un problema in realtà gravissimo. Ancora oggi si registrano in media 4.000 contagi al mese e oltre 35 morti al mese. e’ una situazione insostenibile, che necessiterebbe di un maggior impegno della comunità internazionale.

Che insegnamento si può trarre da quella catastrofe e dalla ricostruzione? Dal punto di vista tecnico, della cooperazione, abbiamo imparato appunto che non siamo onnipotenti. Che soldi e mezzi, per quanto imponenti, spesso non bastano di fronte a certe situazioni. Questo nostro limite umano e’ difficile da accettare, ma e’ una realtà. Abbiamo anche imparato che i protocolli sono di aiuto, ma vanno adattati, e che non c’e’ una catastrofe uguale all’altra: il contesto e’ sempre fondamentale.
Che cosa sta facendo Avsi per le popolazioni di Haiti? AVSI era presente già da oltre 10 anni in Haiti prima del terremoto, e con questa tragedia il nostro impegno e’ naturalmente molto aumentato. Nel periodo dell’emergenza abbiamo lavorato soprattutto sulla risposta alla catastrofe, ora invece siamo operativi soprattutto nel settore dello sviluppo. Lavoriamo sull’educazione, la protezione dell’infanzia e i diritti umani, con un impegno importante nei quartieri bidonville di Port-au-Prince. Nelle zone rurali lavoriamo sullo sviluppo agricolo , sui sistemi di acqua potabile e sulla lotta alla malnutrizione.
Quali sono i problemi più rilevanti che incontrate? La povertà diffusissima, la mancanza di servizi di base, la difficoltà a costruire una vita dignitosa.
Quante persone lavorano al vostro progetto? Ci sono italiani? Attualmente siamo in dieci italiani e 200 haitiani
Che 2014 prevedi per Haiti? Prevedo un anno difficile a causa di una complessa situazione politica, le elezioni da affrontare, ma prevedo anche un anno in cui la popolazione poco a poco possa cominciare a vivere meglio. Ci vuole sempre molto tempo, ma piano piano, gli haitiani guardano avanti. La strada di Haiti e’ una strada in salita, ma verso il miglioramento.