Zone di crisi

La guerra “interiore” di un giornalista in Ucraina

Ci sono cose che non raccontiamo nei nostri servizi, reportage, racconti. Ma che restano appiccicate all’anima e che non riesci a lavare via“.

Così scrive Cristiano Tinazzi in un passaggio del suo libro “Tutto questo dolore” (Paesi Edizioni), romanzo introspettivo di un reporter sul campo in Ucraina. Conosco Cristiano da anni e nei nostri incontri non si era mai “aperto” sui propri travagli interiori che lo hanno accompagnato per anni in ogni trasferta e lo spingevano a ripartire il più presto possibile. L’armatura che indossava è venuta meno.

Perché hai deciso di metterti in gioco in questo libro, che mescola la guerra in Ucraina alla tua interiore?

Dopo tanti anni di reportage in zone di guerra il Covid mi ha fermato per un periodo e costretto ad avere il tempo per pensare. Il lavoro ti distoglie dall’elaborazione del dolore che hai vissuto. In quei mesi sono arrivato vicino alla depressione e ho quindi iniziato un percorso di psicoterapia. Dopo l’invasione dell’Ucraina al ritorno da una trasferta molti amici mi hanno chiesto di scrivere quanto avevo visto e l’ho fatto. Quando ho cominciato a scrivere mi è venuto spontaneo metterci dentro anche le mie vicende personali. A quel punto le due cose si sono unite: il carico latente di quanto vissuto in quasi venti anni in zone di guerra e l’elaborazione dei lutti che riguardano la mia sfera familiare.

Quindi in qualche modo anche il libro è una tappa del tuo percorso di elaborazione?

Si è stata una scrittura terapeutica. Ho preso coscienza dei limiti che tutti abbiamo e che anzi dobbiamo imporci.

Perché l’Ucraina ti è rimasta dentro più di altri conflitti?

Probabilmente perché avendo cominciato un percorso di terapia sono diventato meno resistente e più empatico. La corazza che avevo prima è caduta.

Il mestiere di inviato di guerra è difficile, pieno di sacrifici e spesso con poche soddisfazioni. Perché lo fai?

Me lo sono chiesto spesso anche io. Forse cerco la vicinanza con la morte perché ho avuto questa esperienza in più occasioni nelle mia vita. Probabilmente l’adrenalina aiuta a non pensare ma forse all’inizio ho intrapreso questo mestiere solo per curiosità.

Nel libro sono raccontati molti personaggi che hai incontrato in un paese che resiste all’invasione. Hai avuto al percezione che nel tempo stia subentrando rassegnazione?

Dopo due anni e mezzo di guerra quella sicuramente c’è. Forse non rassegnazione ma consapevolezza che la possibilità della sperata vittoria non ci potrà essere. Il paese è frammentato tra stanchezza dei soldati che da mesi non tornano a casa e chi non è al fronte e vive una quotidianità distante da una vita normale. Tutti sono provati.

Dopo tanto dolore e odio, c’è secondo te ancora spazio per una trattiva con i russi? C’è davvero la speranza che la guerra possa finire in pochi mesi?

Ci sarò di sicuro un momento in cui ci si dovrà sedere ad un tavolo. E non sarà indolore. Serviranno decenni per dimenticare quanto accaduto e superare i lutti. Ci sono famiglie che resteranno divise anche dopo la guerra. Molti ucraini non perdonano ai russi di essere rimasti indifferenti alla guerra voluta da Putin.

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