Zone di crisi

Viaggio in Somaliland, il paese “fantasma”

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le fotografie di Angelo Calianno in Somaliland


Il Somaliland è uno stato “fantasma”, nel senso che non esiste ufficialmente ma c’è nella realtà. Da alcuni è consierato il covo dei pirati che infestano il Corno d’Africa, attaccano le navi e sequestrano gli equipaggi. Per altri è il rifugio di pericolosi gruppi di terroristi islamici. Certamente è un paese poco conosciuto, che vive nella povertà e la cui economia è basata sulla produzione di una particolare droga, il chat. In Somalinad è da poco stato un reporter italiano che ci racconta il suo viaggio.

Angelo Calianno, scrittore e reporter free lance di 34 anni, nato in Puglia, a Cisternino in provincia di Brindisi, ha lavorato in Sud America, Africa e Asia. Pubblica foto e racconti sul suo sito www.senzacodice.com e collabora con diversi giornali. Di recente è stato in Somaliland.

Che paese è il Somaliland?
Il Somaliland non è ancora stato riconosciuto né dall’ Onu né da altre nazioni della comunità Internazionale (eccetto l’ Inghilterra che le ha offerto un protettorato), questo è uno dei motivi per cui quasi nessuno vi si reca. E’ una repubblica islamica indipendente dal 1991 dopo la guerra che ha dilaniato la Somalia. Oggi è un paese pacifico anche se molto povero. La povertà deriva in parte dal fatto che caso di problemi questo Stato è come se non esistesse legalmente.


Di che cosa vive la popolazione?

Purtroppo non c’è molto di cui vivere, l’ economia è di sussistenza, pastorizia e piccoli negozi per la comunità residente. “L’ economia del chat”, come la chiamano qui, è una parte importante della società. Si tratta di una droga in foglie che viene masticata a manciate e viene consumata largamente da ogni abitante in Somaliland ed esportata verso la vicina Etiopia. E’ legale solo in questi due Stati e in Israele. Parte della popolazione vive grazie al porto di Berbera, che affacciandosi sul golfo di Aden di fronte allo Yemen, è l’ unico sbocco sul mare per molti stati africani dell’ entroterra come l’ Etiopia, quindi quasi tutte le merci destinate all’ interno dell’Africa sbarcano proprio in Somaliland.

A lungo è stata la base dei pirati che sequestravano equipaggi delle
navi in transito, lo è ancora?

La situazione è in continua evoluzione, i pirati ci sono ancora ma in misura minore, la sorveglianza è raddoppiata. L’ M16, l’ intelligence inglese, staziona nel golfo di Aden in maniera quasi permanente, le Nazioni Unite stanno per aprire una vera e propria base militare di supporto logistico a Djbuti. Certo rimane un tratto di mare molto trafficato, quindi mai esente da pericoli, e i riscatti degli ostaggi sono una parte significativa delle entrate di pirati e terroristi.

Ci sono molti latitanti legati al terrorismo?
I latitanti, soprattutto quelli legati all’ organizzazione di al-Shabaab, sono ancora tanti, molti hanno parenti proprio in Somaliland e si nascondono tra Somalia e Puntaland. Il Somaliland si è reso indipendente anche per una forte voglia di pace. Ci sono però molti ragazzini che vivono nelle zone rurali “comperati” dalle cellule di al-Shabaab che li educano e li addestrano a diventare futuri terroristi.

Cosa ti ha colpito di più?
Soprattutto la forte voglia della gente di voler essere un popolo pacifico, lontano dalle battaglie di Mogadiscio. Mi è rimasto impresso il loro stupore e tristezza quando raccontavo che pochi in Europa sanno dell’ esistenza del Somaliland, uno Stato per la cui indipendenza tanta gente ha perso la vita. Un’ altra cosa che mi ha stupito molto è l’ enorme consumo che tutti fanno di “Chat”, si trovano banchetti che vendono questa droga ad ogni angolo, difficile trovare qualcuno che non ne abbia in bocca un po’.

Tu come lavori?
Io scrivo cercando di vivere quanto più a contatto possibile con la gente che incontro, raccolgo le loro storie. Attraverso sempre i confini via terra, cosa che mi permette di conoscere più a fondo i movimenti di queste nazioni, dormo facendomi ospitare nelle case di chi incontro oppure in piccole guest house. Cerco senza pregiudizio di intervistare chiunque, dai soldati ai ribelli, dai politici alle persone legate a cellule terroristiche.

In somaliland c’è anche un ospedale italiano, ci sei stato?
Si, si trova ad Hargeisa, la capitale, c’è un ospedale pediatrico italiano, il MAS Children Teaching Hospital (www.ospedalepediatricohargeisa.org) che esiste da quasi un anno.Voluto dal medico somalo e dissidente Mohamed Aden Sheikh che morì a Torino, quest’ ospedale offre cure gratuite e soprattutto medicinali gratuiti ai bambini di Hargeisa. In 11 mesi ne sono stati vaccinati e curati 9500. Lì lavorano Gabriella Buono, il direttore medico dell’ Ospedale, ed il suo staff, composto di volontari italiani e personale locale.

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