Zone di crisi

Le paure dei soldati

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Quando torno da una zona di guerra faccio molta fatica a raccontare a chi non c’è stato quello che si prova in quei posti. Le emozioni, la paura, la tensione, l’adrenalina, il pensiero che in ogni istante possa esplodere un ordigno sulla tua strada, che un cecchino ti sparì mentre cammini in un centro abitato, di venir rapito mentre dormi in un albergo sgangherato: sono tutte cose che ti restano dentro. Faccio fatica io a raccontare questi aspetti interiori, figuriamoci un soldato, che sta in prima linea e quasi sempre si trincea nella corazza della professionalità.

La bravissima collega Barbara Schiavulli è riuscita ad addentrarsi in questo mondo interiore, a far parlare delle loro emozioni i militari, a farsi aprire le porte più intime dai quei ragazzi che vivono mesi al fronte oppure sono tornati a casa portandosi “La guerra dentro” (questo il titolo del suo bel libro). Un bagaglio che può essere di crescita personale ma anche portare traumi che se non vengono elaborati e curati possono portare a vere e proprie malattie, come il disturbo da stress post traumatico, in inglese il post traumatic stress disorder (PTSD). Una vera e propria patologia che a volte sfocia in dramma. In America tra i reduci si contano in media 18 suicidi al giorno.
Nel 1991, durante la Guerra del Golfo, morirono 24 soldati britannici, ma 169 veterani delle forze speciali inglesi di quel conflitto sono morti per ”atti autolesivi intenzionali”. Un tema che negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, ha un ampio rilievo mentre viene raramente affrontato in Italia.


Abbiamo intervistato Barbara Schiavulli, l’autrice del libro e la psicologa dell’esercito Isabella Lo Castro.

Barbara, come mai tu che hai seguito tanti conflitti in Medio oriente, hai deciso di affrontare questo tema?

“La guerra dentro” nasce dall’esigenza tutta italiana di parlare di quello che accade nelle zone di guerra. Quando un giornalista va in queste zone cerca di raccontare tutti gli aspetti. Dei militari però si parla solo quando un soldato muore. Ci sono invece tantissimi giovani che per sei mesi vivono la guerra, lo stress, la paura, senza le loro famiglie rimaste a casa. Di loro non si parla mai, come non si parla di cosa succede quando tornano a casa, non si parla del recupero di queste persone perché a tutte in qualche modo viene cambiata la vita da questa esperienza.

Che cosa è emerso parlando di questi argomenti con i soldati?

Ho imparato che tra chi vive assieme in queste situazioni si sviluppa un forte cameratismo, una solidarietà tra loro che non esiste in altre situazioni. Ciascuno mi ha raccontato come affronta le proprie responsabilità, dall’artificiere al comandante.

La paura accompagna queste missioni, anche quando ci si sposta su automezzi che possono essere colpiti in ogni istante da ordigni. Come vivono i soldati questo stress?

Ho parlato con un ragazzo che si trovava su un mezzo saltato in aria per un ordigno. Nessuno a bordo era rimasto ferito ma solo urlando lui si slogò la mascella. La paura, le emozioni, creano anche delle conseguenze fisiche.

Isabella Lo Castro è una degli psicologi militari che segue i soldati prima che vadano nelle zone di conflitto, durante e al loro rientro.

Che cosa fate per prevenire e curare le ferite interiori?

L’attività degli psicologi inizia già prima della missione, si svolge durante e continua successivamente. L’impatto emotivo delle missioni è importante ma non sempre evolve in forma di traumi o disagi, c’è anche un fattore di crescita. Nella fase addestrativa si danno gli strumenti per la gestione dello stress.

Quando un soldato vede morire un compagno o è costretto ad uccidere un nemico come viene trattato? E’ meglio portare subito alla luce le emozioni che ha dentro?

Bisogna distinguere i momenti. Nella fase delle operazioni le emozioni devono essere controllate e trattenute. Poi c’è una fase in cui bisgona tirarle fuori in uno spazio che sia protetto e dedicato.

Quanti sono gli psicologi nell’esercito?

Siamo una settantina, un numero elevato perché il lavoro si svolge in diverse fasi, dalla selezione in cui si scelgono le caratteristiche necessarie ai compiti richiesti dalla funzione alle fasi di addestramento vero e proprio e infien se c’è bisogno ai casi clinici.

Conoscete qualcuno che ha vissuto queste paure? Come le ha superate? Scrivete.

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