Zone di crisi

Tra i bambini che spaccano le pietre

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Il duro lavoro, spesso con attrezzi rudimentali o a mani nudi


Nell’isola di Nosy Be, nord del Madagascar, decine di bambini vivono praticamente all’età della pietra assieme alle loro famiglie impegnate a scavare una montagna che sorge sopra il loro villaggio. Trascorrono tutto il giorno a trasportare massi e a ridurre le rocce in ghiaia a colpi di martello.
Raffaella Berto, 40 anni, psicoterapeuta di Busto Arsizio, è presidente di Kairos Onlus e dal 2008 lavora per strappare questi piccoli ad una vita di miseria e portarli a scuola.

Raffella, perché hai deciso di aiutare i bambini del Madagascar?

Avete mai provato a chiedere ad un bambino cosa vuoi fare da grande? Io ho provato a chiederlo ad alcuni bambini del villaggio “Mpamaky vato” (spaccatori di pietre) nel nord del Madagascar. Dopo lunghi attimi di silenzio, i bambini scrollano le spalle, abbozzano un sorriso forzato, guardano a terra la polvere, spostano le pietruzze con i piedini nudi e sporchi e dicono con un fil di voce: “Tsy haiko” che in lingua malgascia significa “non lo so”. Per questi bambini sognare un futuro è un optional: senza acqua, senza vestiti dignitosi, senza sapone, senza penne e matite, senza scarpe, senza scuola, senza ospedali adeguati, senza sogni. Per alcuni “fortunati” c’è la manioca, una pianta con radice a tubero, da addentare al posto della soffice merendina al cioccolato, per altri il lavoro nelle cave, trasportando pietre in testa o sulle spalle, come alternativa ai banchi di scuola, per alcuni giocare con una macchinina costruita con le ciabatte rotte, abbandonate sulle spiagge dei resort a cinque stelle dei turisti, per altri un quaderno sudicio.

Ti eri già occupata di minori in situazioni difficili?

Ho sempre visto minori in difficoltà in foto, in tv e sulle belle e colorate brochure, che ti arrivano via posta a casa e che, non me ne vogliano le associazioni, alle volte ho cestinato, ma nullo è stato il loro effetto rispetto al trovarmi bambini così conciati e malmessi davanti agli occhi. La prima volta fu nel 2006: mi trovavo nel deserto del Sahara attorniata da fanciulli in condizioni di estrema povertà. Lì fu crisi. Sì, è proprio così: da un lato vedevo e sentivo il mio essere “grande” nel mio piccolo mondo high-tech, ipertecnologizzato, benestante, agiato, con una bella professione avviata, una bella casa, un’auto, una laurea in psicologia, una specializzazione nel cassetto, una bella famiglia e dall’altro vedevo e sentivo il mio essere “piccola” e “impotente” in questo grande mondo con una natura meravigliosa e rigogliosa ma fermo all’era della pietra, tanto bello, ma arretrato, sporco, puzzolente, malato, bisognoso e problematico. Controsensi.

Come sei arrivata all’isola di Nosy Be, in Madagascar?

Il mio bagaglio era sufficientemente adeguato per iniziare ad incamminarmi nel mondo del volontariato e, dopo diverse esperienze, in cui ho incontrato persone nuove, che condividevano le mie stesse sensazioni, emozioni, desideri, controsensi e progetti, finalmente nell’estate 2007 ho fatto il primo viaggio in Madagascar per un periodo di volontariato in un carcere minorile e poi successivamente con l’associazione Kairos Onlus. Credo che ognuno di noi in questa vita compone il proprio puzzle: vi sono periodi della vita dove i pezzi li incastri facilmente, poi momenti in cui qualcosa si inceppa, non trovi mai il pezzo giusto, ti gratti la testa mentre provi e riprovi diversi incastri, ma nulla. Non va nulla. Non ne azzecchi uno. Non trovi il senso giusto. Ti fermi e ridisponi i pezzi sul tavolo, provi a cambiare il metodo e lentamente tutti i tasselli ricominciano ad intersecarsi: uno tira l’altro, tutto viene da sé senza troppa fatica, tutte le dimensioni della tua vita si compongono facilmente nel tuo puzzle, che diventa via via più completo, più colorato, più ricco e soddisfacente.

Ci racconti come è nato il progetto?

Con l’associazione italiana Kairos Onlus, formata principalmente da psicologi, che lavora sul disagio sociale sia in Italia sia all’estero, si è aperta la missione Madagascar nel 2008 e il primo piccolo progetto per aiutare il villaggio ”Mpamaky vato” di Nosy Be, in condizioni estremamente difficili. Ricordo il primo impatto arrivati al villaggio insieme alla dottoressa Rosa Maria Cusmai di Kairos Onlus: chi chiedeva magliette, chi scarpe, chi voleva soldi per pagarsi la visita medica, bambini con dissenteria moribondi, altri magri, sudati, zozzi con tigna, mancanza di toilette, acqua putrida da bere. Problemi, bisogni e miseria ovunque. Ti senti totalmente inerme e capisci che dei tuoi titoloni di dottore con pluri-specializzazioni lì non te ne fai un’acca di fronte alla cascata di richieste che ti arrivano in un batter baleno e qualcosa bisogna pur rispondere e fare.

Quali sono state le difficoltà sul campo?

I primi anni in cui andavo in Madagascar, osservavo incuriosita come si comportavano tra di loro i malgasci incontrandosi per strada. Di solito uno dei due chiede all’altro “Inona ny vaovao?”, che significa “ci sono novità?”, l’altro può rispondere o no o sì. In caso la risposta sia “sì”, vengono elencati i vari problemi: non ho i soldi per pagare la scuola a mio figlio, devo andare dal dottore, la mamma è malata e via dicendo… la risposta che segue è quasi sempre la stessa, “Courage!” (Coraggio).Così i primi tempi ho imparato come gestire le richieste, poi, piano piano, organizzate le idee, individuati i cooperanti locali e capiti meglio il contesto socio-culturale, si è passati dal dare coraggio verbale a quello del fare progettuale e siamo partiti da un bisogno fondamentale: l’acqua, fonte di vita. Nel 2008 si è realizzato un piccolo pozzo per il villaggio, poi un lavatoio e altri 6 pozzi sulla Grand Terre. I primi anni si è focalizzato l’aiuto su bisogni primari, successivamente siamo passati all’area dell’istruzione e della formazione, creando piccoli laboratori di italiano, cucito e informatica, individuando un cooperante adeguato nella missione della congregazione della suore di San Giovanni Battista. Ci siamo occupati di stilare il progetto “Un germoglio di vita” per ampliare la scuola “ Alberto Cremona “ a Hell Ville e dare opportunità ad altri minori di ricevere un’ istruzione adeguata e organizzare corsi di alfabetizzazione, di lingue, di informatica e cucito per adulti. Nel 2010 si è avviato in Italia il progetto di educazione alla solidarietà con insegnanti della scuola di Casorate Sempione di Varese: il gemellaggio “Casorate chiama Nosy Be”. Per tre anni i bambini italiani hanno comunicato via mail con i bambini malgasci, entrando in contatto, se pur virtuale, con un mondo diverso dal proprio, conoscendo usi e costumi nuovi, raccogliendo e inviando penne, matite, quaderni, sostenendo borse di studio e ricevendo in cambio foto, disegni, biglietti d’auguri e di ringraziamento.

Che lezioni ne hai tratto?

Sei anni avanti e indietro Italia Madagascar, un lavoro lento e costante, riunioni con i soci dell’associazione, idee condivise, errori e sbagli umani, piccole cose, piccoli obiettivi raggiunti e tante soddisfazioni. Non è sempre tutto semplice, non mancano e non sono mancati i momenti difficili, ma nonostante tutto una volta intrapresa la via non riesci a fermarti e continui a procedere e a crescere, soprattutto perché le soddisfazioni le senti nel cuore: senti di dare un tuo piccolo e minimo contributo per provare a ridurre le ingiuste distanze tra questi due mondi. Riconoscere e accettare i propri limiti è la regola fondamentale per procedere, ma credo che se pur si fa poco è comunque meglio di niente.

E ora?

Quest’ estate prima di ripartire per l’Italia sono andata a salutare alcuni dei bambini del villaggio “Mpamaky vato”, che ora vanno a scuola da 5 anni; ho chiesto a uno di loro: “Cosa vuoi fare da grande?”, il bimbo mi ha guardato con occhi vispi e sorridendo con tutti i denti bianchi mi ha risposto sonoramente con dignità: “voglio fare il poliziotto!”. Musica per le mie orecchie. La via è giusta: attraverso la scuola si può dare la possibilità anche a questi bambini di sognare un futuro diverso e forse migliore. Un proverbio malgascio recita: “lo studio è la migliore eredità”, quindi, per ora, la via che si è scelta è potenziare e aumentare le borse di studio in Madagascar e favorire progetti di educazione alla solidarietà in Italia, ripetendoci spesso “courage!” poiché in fondo “non siamo nati solo per noi”, come diceva Cicerone.

Per sostenere Kairos Onlus: www.kairosonlus.it

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