Zone di crisi

Addio a Bala Baluk, il fortino del deserto

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La zona di Bala Baluk sorvolata da un elicottero da combattimento


Alla maggior parte delle persone il nome di Bala Baluk dirà poco o nulla. Sulle cartine dei militari italiani indica la sperduta località nell’ovest dell’Afghanistan dove sorge la Fob Tobruk, la base operativa avanzata più a sud del nostro contingente, il che significa quella più vicina alla zona dove scorazzano gli “insurgents”, il termine con cui in gergo militare vengono definiti i combattenti ostili, che siano talebani, contrabbandieri, trafficanti di droga o mercenari al servizio di qualche signorotto locale.

A me Bala Baluk ha fin da subito ricordato la fortezza Bastioni, quella del Deserto dei Tartari, il romanzo di Dino Buzzati, un avamposto dimenticato, lontano da tutto e di fronte al nulla, in costante attesa del nemico. Perché la base, una torretta su cui sventola il tricolore italiano e poche tende protette da alti muri e blocchi di cemento, è circondata da tre lati dalle montagne, mentre a sud si apre un deserto piatto e polveroso che sembra non avere fine.
Qui il vento ti fa mangiare sabbia e il freddo ti spacca le ossa. Le notti sono piene di stelle in un silenzio rotto solo dalle folate di vento e dal brusio dei visori ottici che scrutano il buio alla ricerca di presenze ostili. Sembra strano, ma è la notte il momento più sicuro, grazie alla superiorità tecnologica. Di giorno i nemici sono meno visibili, si mescolano alla gente sulla strada, si spostano confusi tra i pastori. E’ di giorno, quando le pattuglie si muovono, che fanno paura gli IED, gli ordigni artigianali che esplodono quando e dove meno te lo aspetti.

Per arrivare a Bala Baluk si parte in genere dall’aeroporto di Farah (base operativa Dimonios) e si percorre la famigerata strada 517, detta anche la “strada della morte”. Una striscia di asfalto tra lande desolate e qualche villaggio di case di terra che era stata sottratta al controllo delle autorità, dove per transitare bisognava pagare un pedaggio alle bande locali Agli italiani è toccato il duro compito di liberare la strada 517. Ci sono state durissime battaglie di cui si è parlato poco. Per ottenere il controllo di quella strada hanno perso la vita nel 2009 il caporal maggiore dei paracadutisti Alessandro Di Lisio, 25 anni e nel 2013 Giuseppe la Rosa, 31 anni, capitano del Terzo Bersaglieri. Tanti altri soldati italiani sono rimasti feriti.

Ora gli italiani se ne vanno da Bala Baluk. La base passa all’esercito afgano nell’ambito di quel graduale ritiro che sta portando all’abbandono delle posizioni tenute dall’ISAF. Ora davvero si vedrà se la missione internazionale ha avuto successo. Adesso gli afgani se la dovranno cavare da soli. Si capirà se l’addestramento dei soldati, la morte di tanti ragazzi, la collaborazione con le comunità locali sono serviti a qualcosa. Per ora dall’Onu arriva notizia che la coltivazione di oppio da cui si ricava gran parte dell’eroina del mondo ha raggiunto livelli record: oltre duecentomila ettari, nonostante gli sforzi per convincere i contadibni a passare a coltivazioni legali. Tra pochi mesi, quando dall’Afghanistan se ne sarà andata la maggior parte dei soldati stranieri, si saprà se questo splendido ma sfortunato paese riuscirà a reggere oppure se ancora una volta i signori della guerra scateneranno le armi come avvenne dopo il ritiro delle truppe sovietiche negli anni 80. Per gli afgani, che da oltre tren’anni non conoscono altro che guerra, speriamo davvero che non sia così.

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